Guarigione da linfoma non Hodgkin

Mi chiamo X.Y., ho 36 anni. Nell’agosto del 1994 mi viene diagnosticato un Linfoma non Hodgkin, con infiltrazione midollare al IV° stadio. Comincio le cure del caso presso l’ospedale xxxx di yyyyy: il protocollo prevede diversi cicli di Interferone e Clorambucil che riesco a sopportare discretamente (non perdo un giorno di lavoro se non per i controlli mensili in ospedale). Il mio incontro con Rita Cutolo era avvenuto qualche tempo prima della mia malattia: accompagnavo da lei mio padre e, dietro le insistenze di mia madre, decisi di sottopormi anch’io a qualche seduta.
Premetto che, all’epoca, ero un ragazzo pieno di salute e, tra le altre cose, ero anche donatore di sangue. Quando Rita, che solitamente cura la testa, mi impose le mani sull’addome cambiò espressione e mi disse: “Fossi in te mi curerei”. Non diedi peso a quel consiglio e, pur continuando ad accompagnare mio padre, non mi sottoposi più a nessuna seduta. Fatta la dovuta premessa, arriviamo al marzo del ’95 e al primo controllo dopo l’inizio della terapia (iniziata di pari passo, con almeno tre sedute a settimana, dalla Cutolo): l’esito è confortante, la malattia è abbattuta del 40% ma è ancora presente e quindi si continua con l’Interferone.

A settembre del ’96 penso di essere fuori dal tunnel: le analisi sono sufficientemente buone e i medici mi propongono di prelevare il mio midollo e congelarlo in caso di ricaduta. Ma a dicembre dello stesso anno ricado nel dramma: un valore del midollo, il BCl2, è positivo. Il medico di ematologia mi propone di iniziare un nuovo ciclo di chemioterapia (Fluderemina) per sei mesi. Arrivo alla fine del quinto ciclo a pezzi: vomito con una frequenza impressionante e decido di non sottopormi al sesto.

Il medico che mi segue, il dott. xxx., non la prende bene e mi fa ripetere le analisi al midollo (aprile ‘97): stesso risultato di dicembre e così mi viene fissato un appuntamento con il primario, il prof. yyyy, che mi spiega chiaramente che l’unica via d’uscita per guarire definitivamente è il trapianto di midollo. Penso a me, penso alla mia famiglia, penso a tutto ciò che avrebbe potuto comportare un simile passo: mi rifiuto. Trascorro un periodo difficile: in questa scelta sono praticamente da solo poiché (giustamente) la mia famiglia spinge per una soluzione medica che schianti definitivamente questa patologia.

Anche se mi vengono sospese tutte le cure mediche, io continuo a frequentare Rita e, piano piano, ritrovo forza e peso fisico. Nell’ottobre del ’97 l’ospedale mi richiama: mi viene detto che da aprile a quel periodo, senza cure mediche, la malattia può essere solo peggiorata, quindi mi consigliano di fare qualche ciclo di Interferone, ripetere i controlli per capire a che punto è la malattia e poi riavviarmi verso il trapianto di midollo.

Il mio rifiuto, fra lo sgomento generale, è totale: sto troppo bene, fisicamente e spiritualmente, per essere “bombardato” nuovamente con farmaci. Il dott. xxx si infuria come non mai, mia moglie mi guarda spaventata ma io sono irremovibile: prima voglio che mi vengano ripetute tutte le analisi poi vedremo il da farsi. A Dicembre dello stesso anno vengo sottoposto a prelievo midollare che da’ esito negativo: non c’è più traccia di malattia, anche il BCl2 è ritornato nella norma!

Gli esami più recenti effettuati il 15 ottobre 2003 hanno confermato la stessa situazione clinica del dicembre 97, sono guarito ! Ringrazio Dio e Rita…